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Una proposta di modifica di natura costituzionale in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro supportata da debolissime ragioni

E’ di questi tempi la riproposizione, da parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle morti bianche, di tornare a collocare la materia della tutela della salute e sicurezza sul lavoro tra quelle di esclusiva competenza legislativa dello Stato.

La proposta di modifica dell’art.117 della Cost., depositata al Senato nella forma di disegno di legge costituzionale, prevede difatti una semplice modifica – dai riflessi, di contro, tutt’altro che semplici – da operare al secondo comma dell’articolo, relativo all’elenco delle materie regolate dalla legislazione esclusiva dello Stato, al quale verrebbe aggiunta la materia della «tutela e sicurezza del lavoro», eliminandola invece dal terzo comma – nel quale oggi è inserita – e quindi dall’elenco delle materie soggette al regime di competenza della legislazione concorrente tra Stato e Regioni.

La proposta non è nuova, nel suo contenuto, tenuto conto che già alcuni anni fa prese corpo, ma la sua riformulazione è di estrema attualità, ancor più alla luce dell’iniziativa seminariale che, a corredo della proposta, è stata organizzata in data 25 giugno u.s., proprio presso il Senato, alla presenza delle più alte cariche dello Stato, a partire dal Presidente della Repubblica, e i ministri competenti ed i principali attori nazionali della prevenzione, tra cui le Parti sociali.

Al centro della questione, di carattere squisitamente politico, ma argomentata con ragioni di natura più tecnica, è la funzione della vigilanza sui luoghi di lavoro, in tema di tutela della prevenzione e controllo sullo stato di salute dei lavoratori, svolta ad oggi, nella sua quasi totalità degli interventi, dalle ASL (Azienda Sanitaria Locale), e quindi da personale ispettivo incardinato nel sistema regionale, funzione precedentemente svolta invece dal solo personale dipendente direttamente dall’Ispettorato del lavoro, e quindi dal Ministero del Lavoro, nelle sue articolazioni territoriali.

Non sempre la storia ha qualcosa da insegnare, ma senza dubbio il valore aggiunto che l’esperienza porta con sé, è un bagaglio che non si può trascurare. E’ per questo che un analisi adeguata di quanto è stato fatto (non di certo, di quanto diversamente si avrebbe potuto fare, ma di sicuro di quanto ancora si può fare) non può essere realizzata se non si richiamano alla memoria le tappe fondamentali che hanno determinato un cammino che ad oggi raggiunge i quasi trentacinque anni di attività.

Frutto di un cambiamento epocale avvenuto nel 1978, mediante la Legge di riforma sanitaria n.833, la vigilanza sui luoghi di lavoro (ma non solo, visto che nell’articolato di riferimento di faceva richiamo a tutta l’attività relativa alla prevenzione), venne passata alla competenza delle Regioni, in totale coerenza con la complessiva gestione di tutta la materia della salute attribuita al livello regionale.

Nel 2001, con la Legge costituzionale n.3, all’interno di una ampia riforma che andò ad attribuire alle Regioni competenza legislativa concorrente su molte materie, anche la tutela della salute e sicurezza sul lavoro passò a tale regime, trovando piena coerenza con il già consolidato sistema degli organi di vigilanza incardinati a livello regionale (nelle USL, poi divenute ASL) che, con la riforma del 1978, e il pieno consolidamento nella funzione, da parte del dlgs 626/94 (mediante l’art.23), svolgevano da tempo una funzione fondamentale sul territorio. Funzione confermata pienamente dalla vigente legislazione di riforma, il dlgs 81/08 s.m. (con l’art.13), quale attuazione della Legge delega n.123/07, e a totale rispetto dei principi comunitari (introdotti dalla storica direttiva quadro 89/391) e, comunque, già consolidata e rafforzata dall’introduzione del coordinamento, tra i diversi attori della vigilanza sul territorio, previsto dalle disposizioni contenute nel DPCM del 21 dicembre 2007 che, pur giungendo in ritardo (alla luce di quanto già disposto dall’art.27 del dlgs 626/94), rappresenta ancora oggi il cardine sul quale ha preso l’avvio il complessivo sistema a rete, delineato poi dal dlgs 81/08 s.m., e concretizzato attraverso il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art.5) e le sue articolazioni sul territorio, i Comitati Regionali di Coordinamento (art.7).

Un anno importante il 2007, nel quale venne anche varato – pochi giorni prima del DPCM del 21 dicembre – un medesimo DPCM (datato 17 dicembre 2007), denominato Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro, con il quale, per la prima volta, il Ministero della Salute non solo confermava il pieno impegno nei riguardi dell’attività di prevenzione e vigilanza sui luoghi di lavoro, in tema di salute e sicurezza, ma riferendosi al «cittadino che lavora, quale portatore di diritti», introduceva tra le prestazioni essenziali da garantire (da parte di tutte le Regioni) dei parametri qualitativi minimi (i Livelli Essenziali di Assistenza – LEA) anche per quanto riguarda la vigilanza sui luoghi di lavoro, richiamando le Regioni a stendere propri Piani di attività, coerenti con il Piano nazionale della prevenzione che, da quel momento, sarebbe stato elaborato a cadenza biennale.

E’ sui dati che oggi ci giungono da questo articolato sistema a rete che, se da un lato è facile poter riscontrare mancanze (soprattutto sul livello del perfetto coordinamento) ed obiettivi ancora da raggiungere, dall’altro risulta quanto mai fragile poter argomentare in modo critico non potendo, di contro, da parte di chi attacca il sistema, presentare dati di altrettanta significativa e cospicua attività (a partire da quella di vigilanza) svolta sul territorio in modo puntuale e specifico.

Proporre di modificare un sistema che, tra luci ed ombre, opera non solo da più di trent’anni, ma che garantisce (con la ristrettezza delle risorse economiche ad oggi disponibili per la sanità, complessivamente intesa) un numero di controlli in azienda, sul livello nazionale, di circa 160.000 unità produttive l’anno (pari ad una media superiore alla soglia del 5% sul numero complessivo delle aziende italiane – soglia minima prevista – con punte, in alcune Regioni, anche del 15%), è quanto mai di assoluta debolezza, non avendo alcun tipo di riscontro diverso, supportato da dati concreti, sulla maggior efficacia di un sistema alternativo (in specifico, svolto da ispettori del lavoro che,attualmente rappresentano numericamente circa ¼ degli organi di vigilanza incardinati nelle ASL, sull’intero territorio nazionale, che complessivamente sono circa 4700 operatori, di cui quasi 2800 nel ruolo di Ufficiali di Polizia Giudiziaria).

E’ senz’altro vero che l’aver imposto al sistema della vigilanza da parte delle ASL, un parametro minimo annuale di visite di controllo da realizzare, non è il miglior mezzo per poter garantire una copertura adeguata, basata sull’efficacia, delle verifiche in azienda, ed al contempo forma di garanzia di un’uniformità di interventi su tutto il territorio nazionale, ma non diversamente tale parametro può essere considerato totalmente inadeguato al fine di offrire una base certa di interventi mirati nelle aziende, allo scopo di verificare il rispetto dei precetti normativi di tema di prevenzione.

Se il numero degli infortuni mortali nel nostro Paese è ancora assolutamente inaccettabile – in una sola settimana, del mese di giugno, sono morti per cause lavorative, 19 persone – e, con questo, il numero degli infortuni gravi (che raggiunge circa 800.000 casi l’anno) e le malattie professionali, in costante crescita, a partire dalle patologie muscolo-scheletriche, non per questo si può giungere ad una troppo facile (e di certo insostenibile) assoluta attribuzione di responsabilità alle carenze del sistema di controllo e vigilanza sul territorio, garantito dal sistema regionale, a favore di un diverso modello, a direzione accentrata nazionale.

E’ importante, difatti, non trascurare che intorno all’attività di controllo e vigilanza sul rispetto degli obblighi normativi collegati strettamente al processo di valutazione del rischio, altre sono le attività che devono essere garantite, sia sul piano del supporto e assistenza alle realtà aziendali, sia per gli ulteriori aspetti soggetti ai controlli che richiedono, non solo le ordinarie competenze di natura amministrativo-tecnica, ma anche quelle di area medica ed organizzativo-gestionale (visto il numero in crescita delle aziende che si dotano di Sistemi di Gestione per la Salute e Sicurezza sul Lavoro – SGSL – e Modelli di Organizzazione e Gestione – MOG ).

A tale riguardo, se rilevanti ed urgenti piani di intervento senz’altro devono essere attuati (sull’esempio dei due Patti varati dal sistema delle Regioni, come quello per l’agricoltura e quello per l’edilizia), l’azione che necessita deve essere realizzata agendo su fronti diversi ed operando, non solo su di un piano di inasprimento e frequenza dei controlli (tenuto conto che mai si potrà pensare di giungere a controllare costantemente tutte le aziende del territorio italiano, vista la frammentazione e la ridotta dimensionalità), ma soprattutto sul livello della crescita del senso di responsabilità, della conoscenza specifica e della percezione diffusa del rischio, da parte di tutti gli attori aziendali della prevenzione (a partire dal datore di lavoro fino a scendere ai lavoratori/trici, passando dalle figure intermedie di fondamentale importanza, quali i preposti).

Il contributo fondamentale che oggi la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro può, non solo dare, ma garantire, in modo costante e puntuale, non è quello di proporre percorsi nuovi e sistemi di intervento alternativi che mortificano le esperienze e il bagaglio del passato, per guardare ad un incerto e indefinito futuro, ma quello di promuovere il consolidamento di una chiara politica nazionale di prevenzione, fino ad oggi assente. Una politica che, basandosi sull’incrocio dei dati possa delineare gli obiettivi certi di intervento e le azioni prioritarie (da cadenzare nel tempo), potendo contare sul contributo e la collaborazione fattiva dei diversi soggetti impegnati sul territorio, a partire dal sistema delle Regioni (consolidando la sinergia ed il confronto sia politico che tecnico, tra queste, rafforzando gli organici dei servizi di prevenzione e vigilanza e moltiplicando i momenti formativi e di aggiornamento per gli stessi operatori). Ma potendo anche contare sulla collaborazione tra soggetti istituzionali (potenziando ed intensificando l’attività dei diversi Comitati e Coordinamenti, ai sensi degli artt.5 e 7, del dlgs 81/08 s.m.), e sull’azione ramificata sul territorio garantita dalle Parti sociali, operata mediante gli organismi paritetici e l’attività diretta dei rappresentati dei lavoratori per la sicurezza (aziendali e territoriali). Anche la definizione del sistema di qualificazione delle imprese (basato sulla premialità, ma anche sulla previsione di parametri minimi necessari di garanzia di tutela dei lavoratori) potrà, quando varato, andare a contribuire in modo fattivo, sia ad un innalzamento del livello generale di prevenzione da parte delle imprese, sia soprattutto un criterio uniforme di rispetto delle regole, come già ad oggi sta iniziando a determinarsi per il mondo delle aziende impegnate in lavori in ambienti confinati o a sospetto rischio di inquinamento.

Se tutto questo si realizzerà, portando a sistema un assetto perfettamente delineato dal decreto di riforma legislativa del 2008, alcuna modifica sarà necessaria sul livello legislativo, ed ancor più costituzionale, per poter realisticamente auspicare, ma non meno definitivamente raggiungere, non solo una riduzione drastica degli eventi di danno e di disagio, in ambito lavorativo, ma una condizione diffusa di miglioramento continuo in un quadro di crescita e sviluppo sostenibile, ponendo la persona che lavora al centro, di un sistema articolato di tutele.

Cinzia Frascheri

Giuslavorista

Responsabile nazionale CISL per la salute e sicurezza sul lavoro

Contributo pubblicato su Ambiente & Sicurezza – Il Sole24ORE

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